Pubblichiamo di seguito la traccia del
parere penale in tema di discrimen
fra concussione e induzione indebita. Ipotesi controverse di peculato d’uso,
assegnata dall’Avv. Vincenzo De Rosa in occasione dell’incontro del 20
novembre 2014.
I pareri svolti dovranno essere
consegnati in occasione dell’incontro di giovedì 27 novembre.
TRACCIA ATTO DI PENALE
Nel
gennaio del 2004, Tizio, docente universitario, nel corso di un colloquio con
la studentessa Mevia, evidentemente impreparata rispetto ad un esame da
sostenere pochi giorni dopo, prospetta a quest’ultima, con toni allusivi, la
possibilità di superare agevolmente l’esame in questione, per di più con il
massimo dei voti, qualora Mevia accetti di avere un rapporto sessuale con il
professore.
Mevia,
accettata la proposta di Tizio, fornisce a quest’ultimo la prestazione sessuale
richiesta e, dopo pochi giorni, supera brillantemente il citato esame
universitario.
Caio,
assistente – da sempre vessato - del professor Tizio, pur avendo furtivamente
ascoltato il colloquio intercorso tra quest’ultimo e Mevia, per lungo tempo si
astiene dal denunciare quanto scoperto, temendo ritorsioni da parte del potente
e vendicativo “barone” universitario.
Dopo
molti anni, non avendo più nulla da temere, a seguito del pensionamento di
Tizio, Caio si risolve a denunciare all’Autorità Giudiziaria i fatti di cui
sopra.
A
seguito di richiesta a rinvio a giudizio formulata dal Pm nel febbraio 2012,
Tizio è tratto a giudizio per il reato di cui all’art. 317 c.p., delitto in
relazione al quale viene condannato, in primo grado, con sentenza dell’ottobre
2012, alla pena di anni 4 di reclusione, “per avere, abusando del proprio
potere, costretto o comunque indotto
Mevia a fornire utilità - rappresentate da una prestazione sessuale - da
concedere in cambio dell’agevole superamento di un esame universitario”.
Il
candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, in epoca successiva
all’entrata in vigore della legge n. 190 del 6 novembre 2012, rediga
l’appropriato atto giudiziario nell’interesse del proprio assistito.
Pubblichiamo di seguito lo schema utile
ai fini della redazione dell’atto.
SCHEMA LEZIONE
A cura dell’Avv. Vincenzo De Rosa
QUADRO NORMATIVO
Vecchia Normativa:
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Art. 317.
Concussione.
Il pubblico ufficiale
o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei
suoi poteri costringe o induce taluno
a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra
utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni."
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Art. 317.
Concussione.
Il pubblico ufficiale
che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un
terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a
dodici anni.
Art. 319-quater.
Induzione indebita a
dare o promettere utilità.
Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico
servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere
indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la
reclusione da tre a otto anni.
Nei casi previsti dal
primo comma, chi dà o promette denaro
o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.
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ELABORAZIONE
GIURISPRUDENZIALE
I tre orientamenti giurisprudenziali sul discremen tra art.
317 ed art. 319-quater:
I ORIENTAMENTO
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II ORIENTAMENTO
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III ORIENTAMENTO
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la costrizione è ravvisabile nel comportamento del pubblico
ufficiale che, ricorrendo a modalità
di pressione molto intense e perentorie, ingenera nel privato una
situazione di metus, derivante dall'abuso della qualità o della pubblica
funzione, sì da limitare gravemente la
libera determinazione del soggetto, ponendolo in una situazione di minorata
difesa rispetto alla richiesta, esplicita o larvata, di denaro o di altra
utilità;
l'induzione, si manifesta in un contegno del pubblico
ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua
qualità o dei suoi poteri, attraverso
forme più blande di persuasione, di suggestione, anche tacita, o di atti
ingannatori, determini il soggetto privato, consapevole dell'indebita pretesa
e non indotto in errore dal pubblico agente, a dare o promettere a lui o a
terzi denaro o altra utilità.
Criterio
discretivo
l'intensità
della pressione prevaricatrice, non disgiunta
dai conseguenti effetti che spiega sulla psiche del destinatario.
Nella
concussione,
l'attività di pressione viene posta in essere con modalità più marcatamente intimidatorie, tali da provocare uno
stato di soggezione in cui la libertà di autodeterminazione del concusso, pur
non del tutto eliminata, finisce per essere notevolmente compressa, sì da
rendere il destinatario dell'indebita pretesa "vittima" e, in quanto
tale, non punibile.
Nella
induzione,
tale pressione si concretizza in una
più tenue attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, che
non condiziona gravemente la libertà di determinazione dell'indotto, il quale
conserva - ed è per tale ragione punibile - un ampio margine di libertà di
non accedere alla richiesta indebita proveniente dal pubblico agente
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compie
il reato di cui all'art. 317 c.p. chi costringe e cioè chi, abusando della sua
qualità e dei suoi poteri, prospetta
un danno ingiusto per ricevere indebitamente la consegna o la promessa di
denaro o di altra utilità:
il pubblico ufficiale prospetta che egli,
violando la legge, recherà un detrimento;
compie
il reato di cui all'art. 319-quater [c.p.] chi per ricevere indebitamente le stesse cose prospetta una qualsiasi
conseguenza dannosa che non sia contraria alla legge:
il
pubblico ufficiale prospetta che detto detrimento deriva o è consentito
dall'applicazione della legge».
Criterio
discretivo
l’oggetto
della prospettazione: danno ingiusto e contra ius
nella concussione; danno legittimo e secundum ius nella induzione.
Nella
concussione, la costrizione consegue alla minaccia, intesa, secondo il linguaggio
tecnico-giuridico (art.612c.p.), come prospettazione di un male ingiusto.
In
tal caso è ragionevole, infatti, la più severa punizione di chi prospetta un
danno ingiusto rispetto a colui che prospetta un pregiudizio conseguente
all'applicazione della legge.
Nell'induzione,non
può parlarsi tecnicamente di minaccia, perché il danno non è iniuria datum,
manca quindi la costrizione, anche se il risultato viene comunque raggiunto,
in quanto il privato è indotto alla promessa o alla consegna dell'indebito.
In
tal caso è ragionevole la punizione anche del privato che, aderendo alla
pretesa indebita, orienta il suo agire nell'ottica del tornaconto personale,
ponendo così in essere una condotta rimproverabile.
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nella concussione il pubblico
ufficiale, pur non ricorrendo a forme eclatanti di minaccia diretta, prospetta
una alternativa "secca": condividere la richiesta indebita o subire
un pregiudizio ingiusto;
non è lasciato, in concreto, alcun
margine apprezzabile di scelta; senza essere motivato da un interesse al
conseguimento di un qualche vantaggio, il privato si determina alla promessa
o alla dazione esclusivamente per scongiurare il pregiudizio minacciato
(certat de damno vitando);
il
privato è coautore del reato di induzione ed è punibile nel caso in
cui conserva un margine apprezzabile di autodeterminazione sia perché la
pressione del pubblico agente è più blanda, sia perché ha interesse a
soddisfare la pretesa del pubblico funzionario per ottenere un indebito
beneficio, che finisce per orientare la sua decisione (certat de lucro captando).
Criterio
discretivo
il
diverso effetto che la pressione del soggetto pubblico spiega sul soggetto
privato, con la precisazione che, per le situazioni dubbie, deve farsi leva,
in funzione complementare, anche sul criterio del vantaggio indebito
perseguito dal secondo.
Non
sempre è agevole differenziare nettamente la costrizione dall'induzione sulla
base della maggiore o minore pressione psicologica esercitata dal pubblico agente
e del grado di condizionamento del privato, essendovi situazioni al limite (c.d.
"zona grigia") in cui «non è
chiaro né è facilmente definibile se la pretesa del pubblico agente, proprio
perché proposta in maniera larvata o subdolamente allusiva, ovvero in forma
implicita o indiretta, abbia ridotto fino quasi ad annullarla o abbia solo
attenuato la libertà di autodeterminazione del privato».
S'impone
quindi, secondo tale orientamento per così dire "intermedio"la
necessità di fare leva su un ulteriore elemento, che, con effetto
integrativo, sia in grado di delineare una più netta linea di demarcazione
tra i concetti di costrizione e di induzione. Tale indice integrativo va colto nel tipo di vantaggio che il
destinatario della pretesa indebita consegue nell'aderire alla stessa
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IL QUESITO DEVOLUTO
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RATIO DELLA
RIFORMA
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CRITICA
AI TREORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
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«quale
sia, a seguito della legge 6 novembre 2012, n. 190, la linea di demarcazione
tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p.) e
quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall'art.
319-quater c.p. di nuova introduzione) soprattutto con riferimento al
rapporto tra la condotta di costrizione e quella di induzione e alle connesse
problematiche di successione di leggi penali nel tempo»
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A
tale approdo il legislatore del 2012 è pervenuto sotto la spinta di due
fondamentali ragioni: una di carattere interno, necessità di contrastare più
efficacemente il fenomeno della corruzione; l’altra di carattere internazionale, esigenza di adeguare la normativa
interna agli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese con la
Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione (Convenzione di Merida),
adottata il 31 ottobre 2003 (ratificata in Italia con la legge 3 agosto 2009,
n. 116), e con la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio di Europa
del 27 gennaio 1999, (ratificata in Italia con la legge 28 giugno 2012, n.
110).
La
ratio della
riforma sta quindi proprio nell'esigenza, ripetutamente manifestata in sede
internazionale e sollecitata anche da una situazione emergenziale interna, di
chiudere ogni possibile spazio
d'impunità al privato che, non costretto ma semplicemente indotto da quanto
prospettatogli dal pubblico funzionario disonesto, effettui in favore di
costui una dazione o una promessa indebita di denaro o di altra utilità.
|
Ciascuno di tali orientamenti
evidenzia aspetti condivisibili, ma
non autosufficienti, se isolatamente considerati, a fornire un sicuro
criterio discretivo.
Il
primo modello esegetico, pur
delineando correttamente, dal punto di vista teoretico, le nozioni di
"costrizione" ed "induzione", affida la sua scelta ad un'indagine psicologica dagli esiti
improbabili, che possono condurre ad una deriva di arbitrarietà.
Il
secondo ha
indubbiamente il pregio di individuare indici di valutazione oggettivi e
sicuramente utilizzabili ai fini de quibus, ma incontra il limite della radicale nettezza argomentativa che lo
contraddistingue, la quale mal si concilia con l'esigenza di apprezzare
l'effettivo disvalore di quelle situazioni "ambigue” frequentemente
evidenziate nella pratica.
Il
terzomostra
passaggi argomentativi che possono creare qualche equivoco, laddove, pur
sostenendo che, in situazioni "al limite", il criterio della
intensità della pressione deve essere integrato da quello del vantaggio
indebito, sembra comunque riservare,
in relazione ad altre non meglio specificate situazioni, un'autonoma valenza
alla verifica "soggettivizzante", replicando i limiti del primo orientamento.
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GLI ELEMENTI COMUNI ALLE DUE FATTISPECIE
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LA COSTRIZIONE EX ART. 317 C.P.
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LA INDUZIONE EX ART. 319-QUATER C.P.
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la
condotta di costrizione e quella di induzione richiamate rispettivamente
dall'art. 317 (come sostituito) e dall'art. 319-quater c.p. sono accomunate,
oltre che da uno stesso evento (dazione o promessa dell'indebito), da
una medesima modalità di realizzazione: l'abuso della qualità o dei poteri
dell'agente pubblico.
LA
NOZIONE DI ABUSO
«strumentalizzazione
da parte del soggetto pubblico di una qualità effettivamente sussistente
(abuso della sua qualità) o delle attribuzioni ad essa inerenti (abuso dei
suoi poteri) per il perseguimento di un fine immediatamente illecito».
In sostanza, nelle richiamate norme, l'abuso è indicativo dell'esistenza,
in capo all'agente pubblico, di un diritto all'uso della qualità o dei
poteri, che viene però deviato dalla sua funzione tipica.
L'abuso
non è un presupposto del reato ma integra un elemento essenziale e
qualificante della condotta di costrizione o di induzione, nel senso che costituisce
il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa dell'indebito.
L'abuso,
quindi, è lo strumento attraverso il quale l'agente pubblico innesca il
processo causale che conduce all'evento terminale: il conseguimento
dell'indebita dazione o promessa.
La
condotta tipica delle due figure criminose in esame non risiede, quindi,
esclusivamente nella costrizione o nella induzione bensì primariamente
nell'abuso,
che è legato da nesso di causalità con
lo stato psichico determinato nel soggetto privato ed è idoneo, in ulteriore
sequenza causale e temporale, a provocare la dazione o la promessa
dell'indebito.
ABUSO
DELLA QUALITA’
(c.d.
abuso soggettivo)
consiste
nell'uso indebito della posizione personale rivestita dal pubblico
funzionario e, quindi, nella strumentalizzazione da parte di costui non
di una sua attribuzione specifica, bensì della propria qualifica soggettiva - senza alcuna correlazione
con atti dell'ufficio o del servizio - così
da fare sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di
prestazioni non dovute.
Ovviamente l'abuso della qualità, per assumere rilievo come condotta
costrittiva o induttiva, deve sempre
concretizzarsi in un facere (non è configurabile in forma omissiva)
e deve avere una efficacia psicologicamente
motivante per il soggetto privato: costui cioè deve comunque
avvertire la possibile estrinsecazione
dei poteri del pubblico agente, con conseguenze per sé pregiudizievoli o
anche ingiustamente favorevoli e, proprio per scongiurare le prime o assicurarsi
le seconde, decide di aderire all'indebita richiesta.
ABUSO
DEI POTERI
(c.d.
abuso oggettivo)
consiste
nella strumentalizzazione da parte del pubblico agente dei poteri a lui
conferiti, nel senso che questi sono esercitati in modo distorto, vale a
dire per uno scopo oggettivamente diverso da quello per cui sono stati
conferiti e in violazione delle regole di legalità, imparzialità e buon
andamento dell'attività amministrativa.
Tale abuso va ricondotto alle
seguenti ipotesi: a) esercizio dei
poteri fuori dei casi previsti dalla legge; b) mancato esercizio di tali poteri quando sarebbe doveroso esercitarli;
c) esercizio dei poteri in modo
difforme da quello dovuto; d) minaccia
di una delle situazioni descritte; e)l'esercizio
strumentale di un'attività oggettivamente lecita e doverosa per ottenere
un'indebita utilità (es: agente di P.G. che, nellaflagranza di uno dei
reati di cui all'art. 380 c.p.p., prospetti la possibilità di non eseguire
l'arresto, obbligatorio, in cambio di
una prestazione indebita).
L'abuso
di poteri, a differenza dell'abuso di qualità, può realizzarsi anche in forma
omissiva.Il pubblico funzionario, infatti, può deliberatamente astenersi
dall'esercitarli, ricorrendo a sistemi defatigatori di ritardo, di
ostruzionismo volti a conseguire la dazione o la promessa di denaro o di
altra utilità in cambio del sollecito compimento dell'atto richiesto.
|
La
costrizione indica, in via generale, una
"eterodeterminazione" dell'altrui volontà, nel senso che si obbliga
taluno a compiere un'azione che altrimenti non sarebbe stata compiuta o ad
astenersi dal compiere un'azione che altrimenti sarebbe stata compiuta.
La
costrizione va intesa come costrizione psichica relativa (vis
compulsiva), in quanto, mediante la condotta abusiva, si pone la vittima
di fronte all'alternativa secca di aderire all'indebita richiesta oppure di
subire le conseguenze negative di un suo rifiuto, restringendo così
notevolmente, senza tuttavia annullarlo, il potere di autodeterminazione del
soggetto privato.
la
costrizione evoca una condotta di violenza o di minaccia. (La minaccia, in particolare, quale vis
compulsiva, ingenera ab extrinseco il timore di un male contra ius, per
scongiurare il quale il destinatario finisce con l'aderire alla richiesta
dell'indebita dazione o promessa)
MODALITA’
DI ESTRINSECAZIONE DELLA CONDOTTA COSTRITTIVA:
VIOLENZA
La violenza è concepibile come mezzo
di realizzazione del reato in esame nell'ipotesi in cui il soggetto attivo
disponga di poteri di contenzione o di immobilizzazione (si pensi alle forze
di polizia), ipotesi questa - in verità - di rara attuazione, come dimostra
la copiosa casistica giurisprudenziale relativa a fatti di concussione
realizzati normalmente con minacce.
Del resto, ove, facendo ricorso
alla violenza, questa cagioni l'effetto di ottenere dalla vittima quanto
impostole senza annullarne del tutto la libertà di autodeterminazione (vis
compulsiva), tale modalità di condotta tende, nel reato di cui all'art. 317
c.p., a confondersi per lo più con una minaccia particolarmente efficace,
esercitata - per così dire - in re e non in verbis.
MINACCIA
l'essenza
della minaccia, quale forma di violenza morale, risiede nella prospettazione
ad altri di un male futuro ed ingiusto, che è nel dominio dell'agente
realizzare.
Il
danno oggetto
della minaccia, per essere ingiusto in senso giuridico, deve essere contra ius, vale a dire contrario alla norma giuridica e
lesivo di un interesse personale o patrimoniale della vittima
riconosciuto dall'ordinamento.
La
minaccia non necessariamente deve concretizzarsi in espressioni esplicite e
brutali, ma potrà essere anche implicita (si pensi ai casi di ostruzionismo a mezzo del
quale il soggetto attivo fa comprendere che solo con la dazione o con la
promessa dell'indebito una richiesta legittima del privato potrà essere
esaudita), velata, allusiva, più
blanda ed assumere finanche la forma del consiglio, dell'esortazione, della
metafora, purché tali comportamenti evidenzino, in modo chiaro, una carica
intimidatoria analoga alla minaccia esplicita, vi sia cioè una
"esteriorizzazione" della minaccia, pur implicita o sintomatica,
come forma di condotta positiva.
IN CONCLUSIONE
È
il contenuto di tale abuso, che si concretizza, al di là del dato formale,
nel prospettare alla vittima un danno ingiusto (contra ius), a
integrare la costrizione ed a porre il soggetto passivo in una condizione
di sostanziale mancanza di alternativa, vale a dire con le spalle al muro:
evitare il verificarsi del più grave danno minacciato, che altrimenti si
verificherà sicuramente, offrendo la propria disponibilità a dare o
promettere una qualche utilità (danno minore) che sa essere non dovuta
(certat de damno vitando).
Una
simile situazione intuitivamente giustifica, in base ai valori e ai principi
che ispirano l'ordinamento penale, il ruolo di vittima che la parte
esterna all'amministrazione assume
Deve
rimanere estranea alla sfera psichica e alla spinta motivante dell'extraneus
qualsiasi scopo determinante di vantaggio indebito, considerato che, in caso
contrario, il predetto non può essere ritenuto vittima agli effetti dell'art.
317 c.p., perché finisce per perseguire, con la promessa o con il versamento
dell'indebito, un proprio tornaconto, divenendo co-protagonista della vicenda
illecita.
Antigiuridicità
del danno prospettato dal pubblico ufficiale ed assenza di un movente opportunistico di vantaggio indebito per il
privato sono i parametri di
valutazione che denunciano lo "stato di costrizione" ex art. 317
c.p.
|
il
verbo "indurre" spiega una funzione di selettività
residuale rispetto al verbo "costringere" presente nell'art.
317 c.p., nel senso che copre quegli spazi non riferibili alla costrizione, vale
a dire quei comportamenti del pubblico agente, pur sempre abusivi e
penalmente rilevanti, che non si materializzano però nella violenza o nella
minaccia di un male ingiusto e non pongono il destinatario di essa di
fronte alla scelta ineluttabile ed obbligata tra due mali parimenti ingiusti.Ciò
trova riscontro nella clausola di riserva contenuta nell'art. 319-quater,
comma 1, c.p., il cui incipit testualmente recita: «Salvo che il fatto
costituisca più grave reato».
La
funzione di questa clausola di progressività di disvalore, non può che essere
quella di fare riferimento - per il pubblico ufficiale - al reato di
concussione e - per l'incaricato di pubblico servizio - eventualmente a
quello di estorsione aggravata. Il legislatore, infatti, seguendo una tecnica
di codificazione alquanto approssimata, sembra essere stato ancora
condizionato dalla polivalenza semantica che la nozione di induzione, intesa
in senso generico, assume, ricomprendendovi impropriamente sia condotte che
determinano una costrizione, sia condotte che tale effetto non producono; ha
inteso quindi, con la clausola di riserva, tracciare il confine che separa la
condotta di induzione in senso proprio da quella di costrizione,
sottolineando che la prima deve concretizzarsi in atteggiamenti non
inquadrabili nella seconda.
La
previsione della punibilità del privato è il vero indice rivelatore del
significato dell'induzione:
la
ratio della norma
incriminatrice impone di allegare conseguentemente al termine "induzione" il preciso significato di
alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un
rapporto comunicativo non paritario, conserva,
rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l'ordinamento
impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico
agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi
di importanza primaria, quali l'imparzialità e il buon andamento della
pubblica amministrazione.
Occorre orientare il fascio di luce,
oltre che sulla condotta del pubblico agente, anche sugli effetti che si
riverberano sulla volontà del privato
e verificare se quest'ultima, nel suo processo formativo ed attuativo, sia
stata "piegata" dall'altrui sopraffazione ovvero semplicemente
"condizionata" od "orientata" da pressioni psichiche
di vario genere, diverse però dalla violenza o dalla minaccia e prive del
relativo carattere aggressivo e coartante: nel primo caso, è integrato il
paradigma della concussione; nel secondo, quello della induzione indebita.
La
minaccia
(o la violenza nei limiti più sopra precisati) evocata dal concetto di
costrizione è modalità della
condotta tipica della concussione ed è estranea alla induzione indebita.Il
concetto di minaccia, come già precisato, presuppone un autore e una vittima
e mai nell'ordinamento penale - rilievo che, di per sé, ha carattere
dirimente - il destinatario di una minaccia, intesa in senso
tecnico-giuridico, è considerato un correo. L'ordinamento anzi, con la
disposizione di cui all'art. 54, comma terzo, c.p., colui che commette un
reato nello stato di necessità determinato dall'altrui minaccia possa
rivestire il ruolo di concorrente nell'illecito. Argomentando a contrario,
dove non vi è vittima non può esservi per definizione minaccia.
Il criterio discretivo tra costrizione
e induzione:
più che essere affidato alla dicotomia
male ingiusto-male giustola quale può crearequalche equivoco interpretativo, deve essere ricercato nella dicotomia
minaccia-non minaccia, che è l'altro lato della medaglia rispetto alla
dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo.
MODALITA’
DI ESTRINSECAZIONE DELLA CONDOTTA INDUTTIVA:
Le modalità della condotta
induttiva non possono che concretizzarsi nella persuasione,suggestione,
allusione, nel silenzio, nell'inganno (sempre che
quest'ultimo non verta sulla doverosità della dazione o della promessa, del
cui carattere indebito il privato è conscio; diversamente configurandosi il
reato di truffa), anche collegati e combinati tra di loro, purché tali atteggiamenti non si
risolvano nella minaccia implicita, da parte del pubblico agente, di un danno
antigiuridico, senza alcun vantaggio indebito per l'extraneus.
È
il vantaggio indebito
che, al pari della minaccia tipizzante la concussione, assurge al rango di "criterio di essenza" della induzione,
il che giustifica, in coerenza con i principi fondamentali del dir. penale e
con i valori Cost. (colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e
ragionevolezza), la punibilità dell'indotto.
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ESSENZA DELLA DICOTOMIA
CONCUSSIONE/INDUZIONE
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I CASI PROBLEMATICI
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INDUZIONE E CORRUZIONE
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In
sostanza, nel percorrere una linea ermeneutica costituzionalmente orientata,
è necessario farsi guidare dall'esigenza,
imposta dall'art. 27, comma primo, Cost., di giustificare la punibilità del
privato per il disvalore insito nella condotta posta in essere, disvalore ravvisabile, più che nella
mancata resistenza all'abuso esercitato dal pubblico agente (aspetto, questo,
"derivato"), soprattutto
nel fatto di avere approfittato di tale abuso per perseguire un proprio
vantaggio ingiusto.
Latipicità della fattispecie
induttiva è quindi integrata dai seguenti elementi: 1) l'abuso prevaricatore del pubblico agente; 2) il fine determinante di vantaggio
indebito dell'extraneus.
Conclusivamente, il
funzionario pubblico, ponendo in essere l'abuso induttivo, opera comunque
da una posizione di forza e sfrutta la situazione di debolezza psicologica
del privato, il quale presta acquiescenza alla richiesta non certo per
evitare un danno contra ius, ma con l'evidente finalità di conseguire un
vantaggio indebito (certat de lucro captando).
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Può
affermarsi che l'induzione «non
costringe ma convince»: il soggetto
privato cede alla richiesta del pubblico agente non perché coartato e vittima
del metus nella sua espressione più forte, ma nell'ottica di trarre un indebito vantaggio per sé
(scongiurare una denuncia, un sequestro, un arresto legittimi; assicurarsi
comunque un trattamento di favore), attivando
così una dinamica completamente diversa da quella che contraddistingue il
rapporto tra concussore e concusso e ponendosi, pur nell'ambito di un
rapporto intersoggettivo asimmetrico, in una logica negoziale, che è
assimilabile a quella corruttiva - sintomatica la collocazione topografica
dell'art. 319-quater c.p. in calce ai delitti di corruzione - e conduce, se
non ad escludere, quanto meno ad attenuare notevolmente anche il metus
publicae potestatis, concettualmente poco conciliabile con la scelta
opportunistica ed avvertito solo come oggettiva "soggezione" alla
posizione di preminenza del funzionario pubblico.
|
la
netta differenza, normativamente delineata, tra la posizione del concusso, che è vittima del reato, e quella
dell'indotto, che concorre nel reato, impone l'indagine sulle spinte
motivanti che hanno sorretto, in particolare, la condotta di tali soggetti.
Non
possono però sottovalutarsi casi più
ambigui, border line, che si collocano al confine tra concussione e induzione
indebita, per i quali non sempre è agevole affidarsi, quasi in
automatico, ai parametri qui privilegiati.
Tali
parametri (danno
contra ius e vantaggio indebito) possono trovare entrambi riscontro in una determinata situazione o
evidenziare, se isolatamente considerati, scarsa valenza interpretativa, sicché,
onde evitare soluzioni confuse, devono essere apprezzati, non nella loro
staticità, ma nella loro dinamicità, enucleando,
sulla base di una valutazione approfondita del fatto, il dato di maggiore significatività.
CASI PROBLEMATICI:
1)
abuso di qualità
il
pubblico funzionario fa pesare, per conseguire la dazione o la promessa
dell'indebito, tutto il peso della sua posizione soggettiva, senza alcun riferimento al compimento di
uno specifico atto del proprio ufficio o servizio.
L'abuso
soggettivo, evidenziando indici di equivocità, si presta ad una duplice plausibile lettura, in quanto può porre
il privato in una condizione di pressoché totale soggezione, determinata dal timore di possibili ritorsioni
antigiuridiche, per evitare le quali finisce con l'assecondare la
richiesta; ovvero può indurre il privato a dare o promettere l'indebito, per acquisire la benevolenza del pubblico
agente, foriera potenzialmente di futuri favori, posto che il vantaggio indebito, sotto il profilo
contenutistico, può consistere, oltre
che in un beneficio determinato e specificamente individuato, anche in una
generica "disponibilità clientelare" del pubblico agente.
Esempio
poliziotto che, dopo avere consumato
un pranzo con amici in un ristorante, facendo valere il suo status, pretenda
di non pagare il conto o di saldarlo in maniera quasi simbolica.
Soluzione
E’
necessario contestualizzare la complessiva vicenda, valutare ogni particolare
delle modalità comportamentali del pubblico ufficiale e del ristoratore, per
stabilire se il primo abbia veicolato un univoco messaggio di sopraffazione
verso il secondo, sì da porre quest'ultimo in una condizione di vera e
propria coercizione (concussione), ovvero se tra i due interlocutori, nonostante
la posizione di preminenza dell'uno sull'altro, si sia comunque instaurata
una dialettica utilitaristica, eziologicamente rilevante sotto il profilo
motivazionale (induzione indebita).
2)
minaccia-offerta
Può
accadere che il pubblico agente non si
sia limitato a minacciare un danno ingiusto, ma abbia allettato
contestualmente il suo interlocutore con la promessa di un vantaggio indebito.
Esempio
Minaccia dell’illegittima ed
arbitraria esclusione da una gara d'appalto, con contestuale promessa di aggiudicazione
certa dell'appalto pubblico a scapito dei concorrenti, in cambio della
dazione indebita.
Soluzione
È
necessario accertare se il vantaggio indebito annunciato abbia prevalso
sull'aspetto intimidatorio, sino al punto da vanificarne l'efficacia, e se il
privato si sia perciò convinto di scendere a patti, pur di assicurarsi, quale
ragione principale e determinante della sua scelta, il lucroso contratto.
3) bilanciamento beni in gioco.
Casi
in cui il privato, nonostante abbia
conseguito, prestando acquiescenza all'indebita richiesta del pubblico
agente, un trattamento preferenziale,
si sia venuto sostanzialmente a trovare in uno stato psicologico di vera e
propria costrizione, assimilabile alla coazione morale di cui all'art. 54,
comma terzo, c.p., con conseguente decisiva incidenza negativa sulla sua
libertà di autodeterminazione.
Il
riferimento è a quelle situazioni in
cui l'extraneus, attraverso la prestazione indebita, intende soprattutto
preservare un proprio interesse di rango particolarmente elevato (si
pensi al bene vita, posto in pericolo da una grave patologia); oppure, di fronte ad un messaggio comunque per
lui pregiudizievole e al di là del danno ingiusto o giusto preannunciato,
sacrifica, con la prestazione indebita, un bene strettamente personale di
particolare valore (libertà sessuale), e ciò in spregio a qualsiasi criterio di proporzionalità, il che
finisce con l'escludere lo stesso concetto di vantaggio indebito.
Esempio 1
Caso del primario dell'unità operativa
di cardiochirurgia di struttura pubblica, il quale, per operare personalmente
e con precedenza su altri un paziente, pretenda dal medesimo, allarmandolo
circa l'urgenza dell'intervento "salvavita", una certa somma di
denaro. È indubbio che il paziente, accondiscendendo alla richiesta del
medico, si assicura un trattamento di favore rispetto ad altri pazienti non
disposti a cedere all'abuso. In realtà, però, non è questa finalità a guidare
il suo processo volitivo, che rimane invece gravemente condizionato dalla
componente coercitiva evincibile dall'intero contesto: intervento al cuore
potenzialmente salvifico, condizionato al pagamento indebito, omettendo il
quale, il paziente avverte di esporre a grave rischio la propria vita
Soluzione
Tale
ipotesi non può che essere ricondotta nel paradigma della concussione.
Esempio 2
Caso del poliziotto che avvicina una
prostituta extracomunitaria, che, priva di permesso di soggiorno, esercita
per strada il meretricio, e, dopo averle chiesto i documenti, la invita
perentoriamente a seguirlo per consumare un rapporto sessuale gratuito.
Soluzione
l'esercizio
dei poteri di polizia si appalesa deviato dal fisiologico schema funzionale
ed assume evidenti connotati di prevaricazione costrittiva per il
coinvolgimento nella pretesa indebita di un bene fondamentale della persona
(libertà sessuale) ed in assenza di sintomi di adesione, sia pure
"indotta", della donna, e ciò a prescindere dalla natura ingiusta o
giusta del danno oggetto del messaggio veicolato dal poliziotto.
|
L'induzione indebita a dare o promettere
utilità si colloca figurativamente in
una posizione intermedia tra la condotta sopraffattrice, propria della
concussione, e lo scambio corruttivo, quasi a superamento del cosiddetto
canone della mutua esclusività di questi due illeciti: la fattispecie di cui all'art. 319-quater c.p., infatti, sembrerebbe
configurarsi, con riferimento al soggetto pubblico, come una
"concussione attenuata" e, con riferimento al soggetto privato,
come una "corruzione mitigata dall'induzione".
Delicata
appare la distinzione tra il delitto di induzione indebita e le fattispecie
corruttive, in considerazione del rilievo
che il primo occupa una posizione intermedia tra la concussione e l'accordo
corruttivo vero e proprio.
Per una corretta
soluzione del problema, l'elemento differenziatore tra i due illeciti deve
essere apprezzato cogliendo le connotazioni del rapporto intersoggettivo tra
il funzionario pubblico e l'extraneus e, segnatamente, la presenza o meno
di una soggezione psicologica del secondo nei confronti del primo.
Ciò che rileva è
il diverso modo con cui l'intraneus, nei due delitti, riesce a realizzare
l'illecita utilità: la corruzione è caratterizzata, come si è detto, da un
accordo liberamente e consapevolmente concluso, su un piano di sostanziale
parità sinallagmatica, tra i due soggetti, che mirano ad un comune obiettivo
illecito; l'induzione indebita, invece, è designata da uno stato di
soggezione del privato, il cui processo volitivo non è spontaneo ma è
innescato, in sequenza causale, dall'abuso del funzionario pubblico, che
volge a suo favore la posizione di debolezza psicologica del primo.
Indice
sintomatico dell'induzione è quello dell'iniziativa
assunta dal pubblico agente. Il requisito che contraddistingue, nel suo
peculiare dinamismo, la induzione indebita e la differenzia dalle fattispecie
corruttive è la condotta comunque prevaricatrice dell'intraneus, il quale,
con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri, convince l'extraneus alla
indebita dazione o promessa. le condotte corruttive non sono svincolate
dall'abuso della veste pubblica, ma tale abuso si atteggia come connotazione
(di risultato) delle medesime e non svolge il ruolo, come accade nei reati di
concussione e di induzione indebita, di strumento indefettibile per ottenere,
con efficienza causale, la prestazione indebita.
|
I
principi di diritto conclusivamente affermati dalle SS.UU.
DISTINZIONE TRA CONCUSSIONE E INDUZIONE
(E CORRUZIONE)
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SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI NEL TEMPO
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QUESTIONE DELL’INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO
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«il
reato di cui all'art. 317 c.p., come novellato dalla legge n. 190 del
2012, è designato dall'abuso
costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o - più di
frequente - mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius,
da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto,
della libertà di autodeterminazione del destinatario, che, senza alcun
vantaggio indebito per sé, è posto di fronte all'alternativa secca di subire
il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell'indebito»;
«il
reato di cui all'art. 319-quater c.p., introdotto dalla legge n. 190
del 2012, è designato dall'abuso
induttivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio,
vale a dire da una condotta di persuasione, di suggestione, di inganno
(purché quest'ultimo non si risolva in induzione in errore sulla doverosità
della dazione), di pressione morale, con più tenue valore condizionante la
libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più
ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta
della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire
un indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di
complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione»;
«nei casi c.d. ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine
tra la concussione e l'induzione indebita (la c.d. "zona
grigia": abuso della qualità, prospettazione di un male indeterminato, minaccia-offerta,
bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale), i criteri di valutazione del danno
antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente
contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro
operatività dinamica all'interno della vicenda concreta, individuando,
all'esito di approfondita valutazione complessiva del fatto, i dati più
qualificanti».
«il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano
dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono,
entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico,
idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l'extraneus, comunque in posizione di
soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l'accordo corruttivo presuppone la
par condicio contractualis ed evidenzia l'incontro assolutamente libero e
consapevole delle volontà delle parti»
|
«v'è continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale, tra la
previgente concussione per costrizione e il novellato art. 317 c.p., la
cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale,
alla prima, con l'effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento
sanzionatorio previsto dalla vecchia norma»;
«sussiste continuità normativa, quanto alla posizione del pubblico
agente, tra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 c.p. e
il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui
all'art. 319-quater c.p., considerato che la pur prevista punibilità, in
quest'ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttura dell'abuso
induttivo, ferma restando, per i fatti
pregressi, l'applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio di cui
alla nuova norma»;
N.B:La
previsione della punibilità, ex art. 319-quater, comma secondo, c.p., del
soggetto indotto, in precedenza considerato vittima, sarà operativa,
ovviamente, solo per i fatti commessi dopo l'entrata in vigore della detta
norma, in applicazione dell'art. 2, comma primo, c.p.
|
Con
riferimento, in particolare, alla concussione per costrizione di cui al
novellato art. 317 c.p., dalla formulazione testuale della norma è stata
espunta la categoria soggettiva dell'incaricato di pubblico servizio, il
quale, però, ove abbia posto in essere una condotta costrittiva, qualificata
dall'abuso di poteri, continua a dover essere punito, considerato che tale
condotta, nella sua struttura, rimane comunque inquadrabile in altre
fattispecie incriminatrici di "diritto comune" (il reato di
estorsione aggravata ex artt. 629 e 61, comma primo, n. 9 c.p. in presenza di
deminutio patrimonii; ovvero, difettando questa, il reato di violenza privata
aggravata ex artt. 610 e 61, comma primo, n. 9 c.p.; od ancora, se la vittima
è stata costretta a prestazioni sessuali, il reato di cui all'art. 609-bis
c.p.) che strutturalmente condividono la stessa fisionomia della vecchia
fattispecie di concussione per costrizione.
Ovviamente,
in sede di diritto intertemporale, deve essere individuato e applicato il
regime sanzionatorio più favorevole.
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