«quale
sia, a seguito della legge 6 novembre 2012, n. 190, la linea di demarcazione
tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p.) e
quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall'art.
319-quater c.p. di nuova introduzione) soprattutto con riferimento al
rapporto tra la condotta di costrizione e quella di induzione e alle connesse
problematiche di successione di leggi penali nel tempo»
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A
tale approdo il legislatore del 2012 è pervenuto sotto la spinta di due
fondamentali ragioni: una di carattere interno, necessità di contrastare più
efficacemente il fenomeno della corruzione; l’altra di carattere internazionale, esigenza di adeguare la normativa
interna agli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese con la
Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione (Convenzione di Merida),
adottata il 31 ottobre 2003 (ratificata in Italia con la legge 3 agosto 2009,
n. 116), e con la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio di Europa
del 27 gennaio 1999, (ratificata in Italia con la legge 28 giugno 2012, n.
110).
La
ratio della
riforma sta quindi proprio nell'esigenza, ripetutamente manifestata in sede
internazionale e sollecitata anche da una situazione emergenziale interna, di
chiudere ogni possibile spazio
d'impunità al privato che, non costretto ma semplicemente indotto da quanto
prospettatogli dal pubblico funzionario disonesto, effettui in favore di
costui una dazione o una promessa indebita di denaro o di altra utilità.
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Ciascuno di tali orientamenti
evidenzia aspetti condivisibili, ma
non autosufficienti, se isolatamente considerati, a fornire un sicuro
criterio discretivo.
Il
primo modello esegetico, pur
delineando correttamente, dal punto di vista teoretico, le nozioni di
"costrizione" ed "induzione", affida la sua scelta ad un'indagine psicologica dagli esiti
improbabili, che possono condurre ad una deriva di arbitrarietà.
Il
secondo ha
indubbiamente il pregio di individuare indici di valutazione oggettivi e
sicuramente utilizzabili ai fini de quibus, ma incontra il limite della radicale nettezza argomentativa che lo
contraddistingue, la quale mal si concilia con l'esigenza di apprezzare
l'effettivo disvalore di quelle situazioni "ambigue” frequentemente
evidenziate nella pratica.
Il
terzomostra
passaggi argomentativi che possono creare qualche equivoco, laddove, pur
sostenendo che, in situazioni "al limite", il criterio della
intensità della pressione deve essere integrato da quello del vantaggio
indebito, sembra comunque riservare,
in relazione ad altre non meglio specificate situazioni, un'autonoma valenza
alla verifica "soggettivizzante", replicando i limiti del primo orientamento.
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la
condotta di costrizione e quella di induzione richiamate rispettivamente
dall'art. 317 (come sostituito) e dall'art. 319-quater c.p. sono accomunate,
oltre che da uno stesso evento (dazione o promessa dell'indebito), da
una medesima modalità di realizzazione: l'abuso della qualità o dei poteri
dell'agente pubblico.
LA
NOZIONE DI ABUSO
«strumentalizzazione
da parte del soggetto pubblico di una qualità effettivamente sussistente
(abuso della sua qualità) o delle attribuzioni ad essa inerenti (abuso dei
suoi poteri) per il perseguimento di un fine immediatamente illecito».
In sostanza, nelle richiamate norme, l'abuso è indicativo dell'esistenza,
in capo all'agente pubblico, di un diritto all'uso della qualità o dei
poteri, che viene però deviato dalla sua funzione tipica.
L'abuso
non è un presupposto del reato ma integra un elemento essenziale e
qualificante della condotta di costrizione o di induzione, nel senso che costituisce
il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa dell'indebito.
L'abuso,
quindi, è lo strumento attraverso il quale l'agente pubblico innesca il
processo causale che conduce all'evento terminale: il conseguimento
dell'indebita dazione o promessa.
La
condotta tipica delle due figure criminose in esame non risiede, quindi,
esclusivamente nella costrizione o nella induzione bensì primariamente
nell'abuso,
che è legato da nesso di causalità con
lo stato psichico determinato nel soggetto privato ed è idoneo, in ulteriore
sequenza causale e temporale, a provocare la dazione o la promessa
dell'indebito.
ABUSO
DELLA QUALITA’
(c.d.
abuso soggettivo)
consiste
nell'uso indebito della posizione personale rivestita dal pubblico
funzionario e, quindi, nella strumentalizzazione da parte di costui non
di una sua attribuzione specifica, bensì della propria qualifica soggettiva - senza alcuna correlazione
con atti dell'ufficio o del servizio - così
da fare sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di
prestazioni non dovute.
Ovviamente l'abuso della qualità, per assumere rilievo come condotta
costrittiva o induttiva, deve sempre
concretizzarsi in un facere (non è configurabile in forma omissiva)
e deve avere una efficacia psicologicamente
motivante per il soggetto privato: costui cioè deve comunque
avvertire la possibile estrinsecazione
dei poteri del pubblico agente, con conseguenze per sé pregiudizievoli o
anche ingiustamente favorevoli e, proprio per scongiurare le prime o assicurarsi
le seconde, decide di aderire all'indebita richiesta.
ABUSO
DEI POTERI
(c.d.
abuso oggettivo)
consiste
nella strumentalizzazione da parte del pubblico agente dei poteri a lui
conferiti, nel senso che questi sono esercitati in modo distorto, vale a
dire per uno scopo oggettivamente diverso da quello per cui sono stati
conferiti e in violazione delle regole di legalità, imparzialità e buon
andamento dell'attività amministrativa.
Tale abuso va ricondotto alle
seguenti ipotesi: a) esercizio dei
poteri fuori dei casi previsti dalla legge; b) mancato esercizio di tali poteri quando sarebbe doveroso esercitarli;
c) esercizio dei poteri in modo
difforme da quello dovuto; d) minaccia
di una delle situazioni descritte; e)l'esercizio
strumentale di un'attività oggettivamente lecita e doverosa per ottenere
un'indebita utilità (es: agente di P.G. che, nellaflagranza di uno dei
reati di cui all'art. 380 c.p.p., prospetti la possibilità di non eseguire
l'arresto, obbligatorio, in cambio di
una prestazione indebita).
L'abuso
di poteri, a differenza dell'abuso di qualità, può realizzarsi anche in forma
omissiva.Il pubblico funzionario, infatti, può deliberatamente astenersi
dall'esercitarli, ricorrendo a sistemi defatigatori di ritardo, di
ostruzionismo volti a conseguire la dazione o la promessa di denaro o di
altra utilità in cambio del sollecito compimento dell'atto richiesto.
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La
costrizione indica, in via generale, una
"eterodeterminazione" dell'altrui volontà, nel senso che si obbliga
taluno a compiere un'azione che altrimenti non sarebbe stata compiuta o ad
astenersi dal compiere un'azione che altrimenti sarebbe stata compiuta.
La
costrizione va intesa come costrizione psichica relativa (vis
compulsiva), in quanto, mediante la condotta abusiva, si pone la vittima
di fronte all'alternativa secca di aderire all'indebita richiesta oppure di
subire le conseguenze negative di un suo rifiuto, restringendo così
notevolmente, senza tuttavia annullarlo, il potere di autodeterminazione del
soggetto privato.
la
costrizione evoca una condotta di violenza o di minaccia. (La minaccia, in particolare, quale vis
compulsiva, ingenera ab extrinseco il timore di un male contra ius, per
scongiurare il quale il destinatario finisce con l'aderire alla richiesta
dell'indebita dazione o promessa)
MODALITA’
DI ESTRINSECAZIONE DELLA CONDOTTA COSTRITTIVA:
VIOLENZA
La violenza è concepibile come mezzo
di realizzazione del reato in esame nell'ipotesi in cui il soggetto attivo
disponga di poteri di contenzione o di immobilizzazione (si pensi alle forze
di polizia), ipotesi questa - in verità - di rara attuazione, come dimostra
la copiosa casistica giurisprudenziale relativa a fatti di concussione
realizzati normalmente con minacce.
Del resto, ove, facendo ricorso
alla violenza, questa cagioni l'effetto di ottenere dalla vittima quanto
impostole senza annullarne del tutto la libertà di autodeterminazione (vis
compulsiva), tale modalità di condotta tende, nel reato di cui all'art. 317
c.p., a confondersi per lo più con una minaccia particolarmente efficace,
esercitata - per così dire - in re e non in verbis.
MINACCIA
l'essenza
della minaccia, quale forma di violenza morale, risiede nella prospettazione
ad altri di un male futuro ed ingiusto, che è nel dominio dell'agente
realizzare.
Il
danno oggetto
della minaccia, per essere ingiusto in senso giuridico, deve essere contra ius, vale a dire contrario alla norma giuridica e
lesivo di un interesse personale o patrimoniale della vittima
riconosciuto dall'ordinamento.
La
minaccia non necessariamente deve concretizzarsi in espressioni esplicite e
brutali, ma potrà essere anche implicita (si pensi ai casi di ostruzionismo a mezzo del
quale il soggetto attivo fa comprendere che solo con la dazione o con la
promessa dell'indebito una richiesta legittima del privato potrà essere
esaudita), velata, allusiva, più
blanda ed assumere finanche la forma del consiglio, dell'esortazione, della
metafora, purché tali comportamenti evidenzino, in modo chiaro, una carica
intimidatoria analoga alla minaccia esplicita, vi sia cioè una
"esteriorizzazione" della minaccia, pur implicita o sintomatica,
come forma di condotta positiva.
IN CONCLUSIONE
È
il contenuto di tale abuso, che si concretizza, al di là del dato formale,
nel prospettare alla vittima un danno ingiusto (contra ius), a
integrare la costrizione ed a porre il soggetto passivo in una condizione
di sostanziale mancanza di alternativa, vale a dire con le spalle al muro:
evitare il verificarsi del più grave danno minacciato, che altrimenti si
verificherà sicuramente, offrendo la propria disponibilità a dare o
promettere una qualche utilità (danno minore) che sa essere non dovuta
(certat de damno vitando).
Una
simile situazione intuitivamente giustifica, in base ai valori e ai principi
che ispirano l'ordinamento penale, il ruolo di vittima che la parte
esterna all'amministrazione assume
Deve
rimanere estranea alla sfera psichica e alla spinta motivante dell'extraneus
qualsiasi scopo determinante di vantaggio indebito, considerato che, in caso
contrario, il predetto non può essere ritenuto vittima agli effetti dell'art.
317 c.p., perché finisce per perseguire, con la promessa o con il versamento
dell'indebito, un proprio tornaconto, divenendo co-protagonista della vicenda
illecita.
Antigiuridicità
del danno prospettato dal pubblico ufficiale ed assenza di un movente opportunistico di vantaggio indebito per il
privato sono i parametri di
valutazione che denunciano lo "stato di costrizione" ex art. 317
c.p.
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il
verbo "indurre" spiega una funzione di selettività
residuale rispetto al verbo "costringere" presente nell'art.
317 c.p., nel senso che copre quegli spazi non riferibili alla costrizione, vale
a dire quei comportamenti del pubblico agente, pur sempre abusivi e
penalmente rilevanti, che non si materializzano però nella violenza o nella
minaccia di un male ingiusto e non pongono il destinatario di essa di
fronte alla scelta ineluttabile ed obbligata tra due mali parimenti ingiusti.Ciò
trova riscontro nella clausola di riserva contenuta nell'art. 319-quater,
comma 1, c.p., il cui incipit testualmente recita: «Salvo che il fatto
costituisca più grave reato».
La
funzione di questa clausola di progressività di disvalore, non può che essere
quella di fare riferimento - per il pubblico ufficiale - al reato di
concussione e - per l'incaricato di pubblico servizio - eventualmente a
quello di estorsione aggravata. Il legislatore, infatti, seguendo una tecnica
di codificazione alquanto approssimata, sembra essere stato ancora
condizionato dalla polivalenza semantica che la nozione di induzione, intesa
in senso generico, assume, ricomprendendovi impropriamente sia condotte che
determinano una costrizione, sia condotte che tale effetto non producono; ha
inteso quindi, con la clausola di riserva, tracciare il confine che separa la
condotta di induzione in senso proprio da quella di costrizione,
sottolineando che la prima deve concretizzarsi in atteggiamenti non
inquadrabili nella seconda.
La
previsione della punibilità del privato è il vero indice rivelatore del
significato dell'induzione:
la
ratio della norma
incriminatrice impone di allegare conseguentemente al termine "induzione" il preciso significato di
alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un
rapporto comunicativo non paritario, conserva,
rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l'ordinamento
impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico
agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi
di importanza primaria, quali l'imparzialità e il buon andamento della
pubblica amministrazione.
Occorre orientare il fascio di luce,
oltre che sulla condotta del pubblico agente, anche sugli effetti che si
riverberano sulla volontà del privato
e verificare se quest'ultima, nel suo processo formativo ed attuativo, sia
stata "piegata" dall'altrui sopraffazione ovvero semplicemente
"condizionata" od "orientata" da pressioni psichiche
di vario genere, diverse però dalla violenza o dalla minaccia e prive del
relativo carattere aggressivo e coartante: nel primo caso, è integrato il
paradigma della concussione; nel secondo, quello della induzione indebita.
La
minaccia
(o la violenza nei limiti più sopra precisati) evocata dal concetto di
costrizione è modalità della
condotta tipica della concussione ed è estranea alla induzione indebita.Il
concetto di minaccia, come già precisato, presuppone un autore e una vittima
e mai nell'ordinamento penale - rilievo che, di per sé, ha carattere
dirimente - il destinatario di una minaccia, intesa in senso
tecnico-giuridico, è considerato un correo. L'ordinamento anzi, con la
disposizione di cui all'art. 54, comma terzo, c.p., colui che commette un
reato nello stato di necessità determinato dall'altrui minaccia possa
rivestire il ruolo di concorrente nell'illecito. Argomentando a contrario,
dove non vi è vittima non può esservi per definizione minaccia.
Il criterio discretivo tra costrizione
e induzione:
più che essere affidato alla dicotomia
male ingiusto-male giustola quale può crearequalche equivoco interpretativo, deve essere ricercato nella dicotomia
minaccia-non minaccia, che è l'altro lato della medaglia rispetto alla
dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo.
MODALITA’
DI ESTRINSECAZIONE DELLA CONDOTTA INDUTTIVA:
Le modalità della condotta
induttiva non possono che concretizzarsi nella persuasione,suggestione,
allusione, nel silenzio, nell'inganno (sempre che
quest'ultimo non verta sulla doverosità della dazione o della promessa, del
cui carattere indebito il privato è conscio; diversamente configurandosi il
reato di truffa), anche collegati e combinati tra di loro, purché tali atteggiamenti non si
risolvano nella minaccia implicita, da parte del pubblico agente, di un danno
antigiuridico, senza alcun vantaggio indebito per l'extraneus.
È
il vantaggio indebito
che, al pari della minaccia tipizzante la concussione, assurge al rango di "criterio di essenza" della induzione,
il che giustifica, in coerenza con i principi fondamentali del dir. penale e
con i valori Cost. (colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e
ragionevolezza), la punibilità dell'indotto.
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